Pile sopra il pigiama (la mattina presto vestirsi è una fatica), jeans, scarpe da tennis… sono pronta.
Ares controlla attentamente le fasi della mia vestizione dalla soglia della camera da letto, scatta verso l’ingresso, poi ritorna.
Quando sono sola, è inutile puntare la sveglia. A una cert’ora lui è lì, un sottofondo di lamentela che spinge all’urgenza del risveglio.
E non fa sconti nei giorni festivi.
Il confine della notte, in una città, è segnato dai lampioni che si spengono; a volte fuori è ancora buio, ché non è il sole a seguire la burocrazia, ma spesso il contrario.
La domenica è più silenziosa degli altri giorni, puoi protendere i sensi in tutte le direzioni ed ottenere, in risposta, che il mondo degli uomini sta ancora dormendo.
I passi crocchiano sulle foglie cadute che rendono cauto il cammino, nonostante il freddo consigli di affrettare il passo e Ares, impaziente, mi trascini verso la sua solita sosta.
I gabbiani si librano nell’aria – non importa che fiume e mare siano lontani, ormai contendono a piccioni e cornacchie il cibo disponibile.
Vicino casa c’è un piccolo bosco. Un’area verde e selvaggia, dove alberi e rovi si dividono luce e terreno.
La rete metallica in alcuni punti è piegata e aperta a consentire l’accesso. Ogni tanto qualcuno tenta di tappare i buchi con rami o tavole di legno, ma il rimedio non dura che qualche ora.
Si vedono sentieri, aldilà della rete: puntano verso il basso, dove la luce arriva a stento, filtrata dai rami fitti.
A volte i padroni dei cani li lasciano liberi tra quei sentieri, li aspettano fermi, fumando sigarette su sigarette.
Ares si perderebbe, credo, e dovrei cercarlo in quel bosco misterioso, nel cui cuore immagino luoghi per riti strani o bevute indisturbate.
Ma il bosco ci regala merli, e passeri, e pettirossi che la mattina si posano sul davanzale ad augurare il buongiorno.
Una volta un ranocchio, perfino.
Anzi, due. Il primo l’aveva trovato Ares, ai confini del bosco. Pensava fosse una pietra, forse, lo stava annusando. Quando quello gracidò, in risposta lui fece un salto all’indietro (ho un cane fifone, che ci volete fare).
Ma stamattina era solo un tubare di colombi, passi secchi sull’asfalto e spazzolati sulle foglie, ticchettio di caduti dell’acero nella villetta, il vento a sussurrare tra i rami degli alberi e – unico suono meccanico – il sospiro di un camion dell’AMA prima di compiere il suo lavoro.
Poi, gialli di foglie morte e rossi di vite americana a dare colore a un cielo ancora incerto sul nascere del giorno.
Nuvole di fiato, battito di cuore e ritmo del cammino.
Un buongiorno per due.
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Appena riposti (si fa per dire)
Nel comò
Cassetti
Meta
Povere reti metalliche!
Ma a che ora vai a far faare la passeggiata ad Ares, sorellona? E nel bosco indossi il cappuccio rosso? Visto mai che oltre ai ranocchi spaventacani anche qualche lupo?
Buongiorno a te:)*
e la fatica del cane, porello, che ogni giorno deve far passeggiare la padrona
Mah, sorellona, l’orario è variabile.
Se tieni conto che Ares si inizia a lamentare intorno alle 5.00/5.30 (a seconda delle giornate) dipende dal livello di sonno e/o di resistenza ai suoi pianti.
Niente cappuccio rosso. Indosso un pile azzurro, in questi giorni (di rosso – o quasi – ho i capelli, ma forse non vale)
Herr, in effetti ha la tendenza a trascinare (il cane, intendo). Così però rafforza i muscoli…
uhm… cappuccetto azzurro fa tanto cdl, però!:)***
E dagli…
Niente cappuccetto (soprattutto non di quel tipo lì, per chi mi hai preso?) :PPP
Comunque, per la precisione, il pile è turchese (così eliminiamo il problema alla radice)
Ecco! Ora sì, la fata turchina che porta a spasso il cane, la mattina:)
Se intendi questa fata qui, potrei anche essere d’accordo 🙂
bhè che dire……un modo stupendo per iniziare le giornate!
Fata (benvenuta, intanto), direi che dipende dall’orario in cui si inizia.
Però in linea di massima sì, è un buon modo per iniziare la giornata. 🙂